(...) Attraverso muscoli, carne, ventre e sesso, la materia pittorica si sublima sulla tela generando valori che superano la materia stessa avvolgendo e animando le cose; il trascendente si riconosce allora nell’intimità di un momento, in cui soli e nudi ci si guarda e tocca il corpo o entra nella sfera del sogno confuso con la veglia, nel gioco infantile al quale troppo presto rinunciamo, nella solitudine in cui si manifesta finalmente quella fragilità che il maschio desidera nascondere. (...) è un uomo, ma è anche un paesaggio, un cielo, è sangue, è sole, è luce, è sicuramente materia perché il dipinto si regge su un’autonoma composizione di pigmento pastoso che valorizza sul supporto ogni intervento, qualificandosi esteticamente oltre il soggetto o meglio come soggetto di colore. Uno spazio atmosferico vaporoso e indefinito prolunga le stesse tonalità dei soggetti, proiettando all’esterno le loro agitazioni interiori.
(...) Dalla sua posizione di donna, la pittrice si pone in confronto al parallelo universo maschile dando una visione di sintesi al dualismo che racchiude in ogni individuo entrambi i caratteri sessuali, trattando la sensualità per la forma virile ma anche la tenerezza indifesa della nudità, il corpo come mezzo per esprimere valori ultracorporei, il sogno come realtà attiva e liberatrice. Traspaiono senza rumore le opinioni sul limitato e arcaico ruolo dell’eroe, maschilista e narciso, violento, ruolo che l’uomo nudo di Elena Candeo abbandona con un sospiro nelle confidenze sussurrate di queste tele. Da un testo di Giacomo Malatrasi
Così come nella bella maniera del Rinascimento, al centro dell’opera pittorica di Elena Candeo ritorna la presenza dell’uomo. Se allora il bisogno dell’uomo di sentirsi al centro dell’universo rispondeva ad un ansioso anelito vitale, ad una volontà di misurare e misurarsi con il mondo; nelle tele di Elena i soggetti umani occupano, sì, fisicamente lo spazio ma ad esso contemporaneamente si fondono e con esso inevitabilmente si confondono. Ed è qui, in questa confusione, che emerge il segno indelebile del mondo attuale, quell’inevitabile conflitto irrisolto che, dall’interno di sé, l’uomo tende espressionisticamente ad exprèmere all’esterno di sé. Uomini che cercano conforto ora nel sonno, ora è il distacco dal mondo reale e l’ingresso nell’irrazionale dissonante, stridente di un paesaggio costiero violaceo, in cui la sinestesia è scritta nel gesto pittorico, che si fa materico nei punti in cui la compenetrazione dell’uomo con l’ambiente deve essere sottolineata. Che cosa rimane all’uomo al suo risveglio, al suo ritorno alla realtà? La solitudine sperimentata lo porta a voltare le spalle a chi lo osserva, noi compresi, lo porta a voler sbeffeggiare il mondo con una corporatura forte, scultorea, plastica, carica nella forma e nel colore. Costante è però la ricerca di un contatto umano, dettato dai contrasti tonali che descrivono la possente fisicità dei corpi e la fragilità degli animi, che sembrano momentaneamente uscire dalle tele per comunicare le cicliche crisi eternamente taciute dai soggetti reali.